23.3.18

Serra, Facebook, e il plus valore


Serra, mi piacerebbe poterlo dire con parole sue che esprimano il mio pensiero (come spesso fa), sull'Amaca di oggi piscia controvento, come avrebbe scritto Adam Smith.

Mettiamo da parte il fatto che prendersela con Facebook è come prendersela con una banca dopo che l'abbiano
 rapinata, perché merita un discorso a parte.

Comunque Serra fa un bel minestrone tra quotazioni di borsa, lavoratori, ricchezza personale, e dice un sacco di boiate nonostante avesse avuto l'intenzione di porre domande più alte.

Serra vuol cercare di porre l'attenzione sulla rivoluzione industriale digitale, che ormai sta per dirompere in tutti gli ambiti, ma si attorciglia su una posizione luddista.

Il motore (che sia a vapore, a combustione o elettrico) ha avuto un effetto dirompente sulla società, ed è la rivoluzione industriale che ha plasmato il pensiero di Marx.

Il plus valore è un concetto che prese piede proprio per la disparità che veniva percepita (da un borghese come Marx) tra il profitto su scala mercantile, artigianale e latifondista, e il profitto su scala industriale.

In precedenza, al centro del dibattito c'era stata la remunerazione del capitale, la terribile usura che generava rendite spropositate rispetto all'affitto o al commercio - legittima ratio da parte di chi i soldi li chiedeva in prestito (un po' meno da parte di rischiava i propri dandoli in prestito).

Serra toppa in maniera clamorosa quando fa l'esempio di Amazon e del negozio tradizionale. E di proposito non ci dice cosa sia tradizionale e, sottintende giusto, o almeno economicamente e socialmente più accettabile. Quanti lavoratori ci vogliono a generare 1 dollaro di valutazione di mercato di Amazon, è di proposito una domanda retorica e sbagliata.

Infatti Amazon, impiega 400,000 persone direttamente e fa $130Bn di fatturato - se consideriamo WalMart un'azienda tradizionale, fa $500Bn di fatturato con circa 1.5 milioni di impiegati - quindi come numeri siamo lì.

Però sicuramente il caro Michele (non Michele Apicella) non crede che Walmart sia tradizionale abbastanza, forse nemmeno la Esselunga, probabilmente il banco ortofrutticolo del mercato è un esempio che troverebbe più calzante.

In più Michele omette il fatto che proprio la crescita smisurata della grande distribuzione permetta di ridurre attrito e ridurre prezzi al consumo, aumentando di fatto il potere d'acquisto di Cipputi.

Ma tornando a Facebook, Google, e co. si parla sempre e solo della capitalizzazione di queste e della forbice sociale, ma si evita bene di parlare della filiera digitale, della filiera della distribuzione, e della ricaduta che la nuova economia genera al contempo.

L'economia si evolve e con essa il mercato del lavoro. Nel 400 solo i sovrani avevano chi gli portasse a spasso il cane, nel 1900 si sarebbero messi a ridere tutti, poveri e ricchi, se qualcuno avesse detto che il porta-a-spasso-il-cane oggi sarebbe stato uno dei lavori in più forte crescita su entrambe le coste degli stati uniti.

Rockefeller o Carnegie avevano un peso assai maggiore sull'economia e in termini di fortuna personale di un Bezos o Zuck, e le loro aziende erano monopoli che gestivano di fatto l'economia mondiale - più facile quando controlli tutto il petrolio o tutto l'acciaio.
Ma il break up della standard Oil non significò fermare l'avanzata dell'automazione del lavoro nelle campagne.

Non sono necessarie rivoluzioni per avere effetti dirompenti - magari il Dodo la pensa diversamente - ma anche la semplice evoluzione significa che alcune linee crescono rigogliosamente oggi, solo per essere soppiantate domani. Ma allo stesso tempo, nessuno vuole comprare il biglietto per assistere alla propria estinzione.

Comunque vada, il caro Serra quest'oggi ha fatto un po' il capopopolo, a metà tra Masaniello e Jeremy Rifkin, e perso un'occasione buona per dire cose un po' più basse ma probabilmente più intelligenti.

16.3.18

La fine del '68


il 16 marzo 1978 rappresenta la fine del '68, e non come viene spesso raccontato "la fine dell'innocenza", l'innocenza era finita il 12 dicembre del 1969.

Il 16 marzo 1978 rappresenta la fine di quel periodo in cui la rivolta giovanile e la resistenza operaia alla fine del boom economico, credevano di poter superare la reazione anche violenta del "potere", e la contrazione economica, attraverso un innalzamento del "livello di scontro" che potesse portare ad un sistema socialista occidentale, in una visione confusa di ciò che questo rappresentasse in realtà (ergo e continue divisioni e gruppuscoli). Questo movimentismo era nutrito da un rifiuto delle logiche dei blocchi, si ispirava al socialismo dal volto umano (o tale all’apparenza) degli strappi di Ungheria e Cecoslovacchia, come di Cuba.

Durante quei dieci anni la reazione "del potere" alle istanze giovanili e operaie furono scomposte, disorganizzate, a volte illegali, spesso guidate da incapacità e inadeguatezza, piuttosto cha da un disegno globale.

Proprio quella reazione scomposta, dove le prove di forza del potere erano in realtà prove di debolezza, permise la crescita quella sinistra, insofferente ad un sistema che li emarginava e ad un'opposizione troppo ingessata e inquadrata nelle logiche della guerra fredda per rappresentarne effettivamente le istanze. Il PCI, nonostante la radicata presenza nel paese, dalla campagna, alla fabbrica, all’università, si era di fatto imborghesito e, socialdemocraticamente rappresentava interessi costituiti.

Il '68 e l'Autunno Caldo, furono momenti veramente di rottura con le logiche dominanti, e i cui successi conquistarono buona fetta dell'opinione pubblica e diedero spinta propulsiva al movimentismo di sinistra.

Di conseguenza, il movimentismo prese sempre più forza e si spinse sempre più avanti nelle proprie rivendicazioni e, nella risposta debole delle istituzioni, si illuse della assoluta necessità storica ed inevitabilità delle proprie battaglie e dell’evoluzione estremistica della propria base ideologica.

La forza di quel movimentismo consisteva nell’essere riuscito a lungo ad allineare l’élite intellettuale, borghese e le fasce meno privilegiate di operai meno qualificati e infine il proletariato urbano dei non-garantiti, che si manifesta nel ‘77.

Le frange che propugnavano la lotta armata partivano dalle istanze di difesa da quella che era vista come repressione armata e di resistenza a quel movimentismo studentesco ed operaio. Per lungo tempo quelle frange avevano una visione distorta e romantica dei movimenti armati sudamericani come della Resistenza, ed erano ricambiati dal movimento che li vedeva sognatori e intransigenti, ma sicuramente come parte di sé stesso.

In questo brodo di para-terrorismo e illegalità sempre più diffusa, era inevitabile che si sviluppasse e crescessero le frange armate, così come era inevitabile che ci fosse una grossa area di contiguità in cui pescare e che le supportasse. Era facile migrare da una gradazione di rosso all’altra, così come diventava ugualmente facile tra una sfumatura di nero all’altra. Nel movimento e nell’area di contiguità non ci si vedeva combattenti armati, fino a quando il passaggio alla clandestinità, vera o di fatto non si fosse compiuta con l’adesione formale ad un’organizzazione.

Gli scontri di piazza, molto spesso ispirati più dai Ragazzi della via Paal che non dai Tupamaros, era inevitabile che si intensificassero, dai sampietrini si passava a caschi e mazze, di lì alle bottiglie molotov, e infine alle pistole.

L’impunità favorisce la presunzione e la sfacciataggine, e questo è quello che accadde. Senza dietrologie e senza disegni.

Ma il 16 marzo 1978 rappresenta sia l’apoteosi, il momento più alto delle Brigate Rosse che la fine di tutto questo movimentismo. Gli autonomi distruggono gli indiani metropolitani, e con essi la creatività, la positività, l’ottimismo, la speranza del Movimento e cominciano i secoli bui dell’oscurantismo medievale dei terroristi, che si manifesterà definitivamente con gli omicidi di Guido rossa e Roberto Peci.

Nel momento in cui le Brigate Rosse hanno successo nell’operazione più ardimentosa, complessa, e dimostrativa della propria capacità organizzativa, comincia il momento del declino del proprio potere mediatico e intellettuale. Le Brigate Rosse erano impreparate a gestire politicamente quel rapimento, così come lo stato era impreparato a reagire.

Aveva ragione Piperno a sottolineare con ammirazione “la geometrica potenza”, la ricerca del linguaggio sottolineava anche l’inconsistenza della propria politica, che rappresentava il fatto che le BR si ponessero come interlocutore alla pari dello Stato, e nell’impunità dei 55 giorni addirittura Stato nello Stato, ma proprio per questo segnano la fine della rivolta permanente. La lotta armata e la rivolta perdono la valenza di rivendicazione e diventano una vera guerra, ma una guerra che il movimentismo non è disponibile a combattere, e tra i distinguo e il rigetto, si crea la cesura con il brodo insurrezionale, il riflusso e la perdita di identità della Sinistra cosiddetta extraparlamentare.

Ma quello su cui la stampa e gli intellettuali preferiscono glissare per evitare crepe nel proprio pontificare, è anche la profonda umanità di questi automi incorruttibili del terrorismo. Umanità che si dimostra nella maldestria e relativa caterva di errori commettono per faciloneria e supponenza, prima, durante e dopo il rapimento. Si perdono armi e documenti, gambizzano o uccidono le persone sbagliate, non sanno rapinare le banche, si fanno fregare da chi gli dovrebbe riciclare denaro o vendere le armi, si fanno beccare con i pantaloni abbassati con le fidanzate. Mara Cagol voleva liberare il marito prima ancora che il capo delle Brigate Rosse, e finisce ammazzata per la propria goffaggine e un proiettile sparato male.

Il ’68 è morto quel giorno, il movimentismo verrà annientato con il 7Aprile, che rappresenta una risposta simbolica dello Stato che contribuisce a radicalizzare la divisione tra legalità e illegalità. Di lì a poco, la marcia dei 40000 riporterà definitivamente alla normalità la stagione delle rivendicazioni operaie.


14.3.18

L'OPA sul PD


Premesso che per adesso non sono iscritto al Partito Democratico, magari questo cambierà in un  prossimo futuro, tantomeno mi ritengo sono un fine analista come, per esempio, Travaglio o l’Annunziata, ma vorrei sottolineare un aspetto inquietante della discussione post-elettorale che nessuno sembra ancora avere sottolineato.

Non si erano ancora chiuse le urne, quando tra le dimissioni di Renzi e l'immediata apertura di LeU al M5S per bocca di Fratoianni o Fassina (quello di Fassina chi?), è iniziato il gioco al massacro nei confronti del PD.
Superficialmente alimentata dall'avversione al Renzismo, l'operazione mi sembra assai più subdola. Cercando di approfittare del momento di crisi interna, di fatto LeU e M5S hanno avviato un’OPA ostile sul PD, da destra e da sinistra, con l'evidente obiettivo di spaccare ulteriormente il partito, o come minimo di annettersene qualche fetta.

Mossa comprensibilissima. LeU dopo il disastro elettorale si è liquefatta, basta vedere come Fratoianni e Fassina, nel silenzio dei Grasso, Boldrini, Bersani o D’Alema, hanno ricominciato immediatamente a giocare sotto la propria bandiera. I suoi leaderini dimezzati con più pelo sullo stomaco stanno cercando sia di egemonizzare il dibattito a sinistra, sia egemonizzare la guida di ciò che rimane di LeU, volendo portarsi in dote quella fetta del PD che vedono come simpatizzante del movimentismo. Invece di aprire una riflessione interna, e soprattutto di decidere collettivamente come procedere, magari avviando discussioni su una strategia comune al riguardo delle presidenze del Parlamento, si sono avventati sul PD, spingendo un’impossibile alleanza con il M5S solo per incrinarne l’unità, facendo il gioco di Emiliano contro l'asse Orlando\Renzi. E tanto peggio, tanto meglio

Il M5S non si è lasciato scappare l'occasione, e spalleggiato da buona parte della stampa, continua a mandare messaggi trasversali al PD e alla propria base, strategia sintetizzabile in un “venite con noi, ma mai al governo con noi”. Anche qui l'obiettivo sembra assai chiaro, spaccare il PD tra coloro che vorrebbero a tutti costi cavalcare la tigre della protesta o proporsi come responsabili, ed il resto. Ma da parte del M5S, abbiamo visto i comportamenti messi in atto nella scorsa legislatura, non mi riferisco alle sceneggiate, gli insulti e le aggressioni, mi riferisco a tutte le discussioni condotte per arrivare a proposte condivise, dove il M5S si è tirato poi indietro all'ultimo momento solo per spaccare l'asse PD\FI.
E' ovvio che con questa formazione non c’è speranza di trovare accordi, la loro strategia è chiara, logorare un potenziale partner accusandolo di sabotare l'azione di governo del M5S.

La cosa sconcertante è che queste operazioni avvengono ancor prima di avviare le discussioni sulle presidenze del Parlamento. Queste discussioni, per trasparenza e costituzionalità, si dovrebbero svolgere in proprio in Parlamento, ma da parte di LeU e M5S non c’è un interesse vero al dialogo, ma solo una tattica per sfiancare e sbriciolare il PD.

Ancora più sconcertante è il ruolo della stampa che continua a soffiare sul fuoco e spingere per questa diabolica alleanza, evitando accuratamente (a parte e nel proprio interesse, la stampa più berlusconiana) di puntare i riflettori sui punti comuni tra Lega e 5S. Alleanza che Berlusconi vede come fumo negli occhi, perché’ rischia di atomizzare Forza Italia in un coacervo razzista e oscurantista guidato da Salvini, che presti il fianco alle istanze populiste che vogliono lo smantellamento dell’impero berlusconiano – lo sbandierato conflitto d’interessi, che nell’accezione di Di Maio corrisponde alla nazionalizzazione di Mediaset.

Mi auguro che sia una strategia che fallisca, e spero di riuscire ad apportare un contributo interno o esterno affinché' fallisca il prima possibile.


13.3.18

Fassina chi?

Quando leggo dichiarazioni come quelle recenti di Stefano Fassina su cosa dovrebbe fare il PD, mi rendo conto che a volte i bravi del M5S abbiano ragione quando parlano di impresentabili.
Fassina, ancora non si è dato pace del fatto che Renzi gli abbia scalato il PD sotto il naso mentre lui si guardava allo specchio gingillandosi come la regina di Biancaneve. Dopo mesi passati a chiedere allo specchio chi fosse il potenziale segretario del PD più bello del reame, oltre al partito, gli avevano pure fregato la sedia da ministro.
Avendo minacciato per mesi le dimissioni dal partito senza che nessuno gli chiedesse di restare, ad un certo punto, alticcio dopo una serata passata all'osteria a bere per dimenticare con altri tre sfigati come lui, annunciò la 12.425ma formazione di gruppettari, chiamata con modestia Sinistra Italiana. Nome profetico, 3 briganti e 3 somari, quasi ad anticipare e simbolizzare il peso della Sinistra Italiana dopo le elezioni.
Disoccupato, senza molti amici, e insoddisfatto che il suo blog non lo leggessero neanche i parenti prossimi, si trovava alla disperata ricerca di un minimo di visibilità. Così, in un altro momento di euforia alcolica, decise di farsi eleggere al Comune di Roma con l'idea di fare opposizione al M5S, ma opposizione diversa e in opposizione al PD.
Passata la sbronza, non si è mai presentato in Comune, anche spaventato dal fatto che l'indennità del Comune fosse un terzo dello stipendio da Parlamentare.
A riprova della bontà e solidità del progetto federativo a lungo termine di LeU, si è presentato a fare le dichiarazioni post elettorali immediatamente con il proprio simbolo per sottolineare l'unità con il resto del Gruppo TNT.
Oggi, forse in una ricaduta nell'alcolismo, dichiara che è suo compito inseguire i propri elettori ovunque si siano dispersi. Non vi stupite se lo vedete spuntare al bar sotto casa o mentre vi trovate al bagno della stazione. Sta solo cercando di ritrovare le sua rilevanza.

Le vittime del Rosatellum

Vorrei anche io vedere una nuova legge elettorale fatta da Lega e M5S, le autodefinite vittime della presente legge.
Vorrei vedere una Lega e M5S proclamare durante e dopo le successive elezioni che le votazioni si svolgano secondo la miglior legge possibile.
Ma questo non succederà.
Mi aspetto che Lega e M5S riescano, forse, ad apportare minime modifiche condivise, per poi continuare a raccontare agli Italiani che non c'erano le condizioni per una legge giusta e che nessuno dei due possa vincere adeguatamente per la porcata di Renzi del 2017.
A pensare male si fa peccato, ma ogni tanto ci si indovina (cit. Andreotti)


Renzi e il voto del silenzio

L'Huffington Post di Lucia Annunziata vorrebbe vedere Renzi ritirarsi in un monastero facendo il voto del silenzio.
Apparentemente la dichiarazione di non candidarsi ad un ruolo dirigente nel suo partito di appartenenza non è sufficiente a placare le richieste di D'Alema e co di cui si fa portavoce e surrogato.
Secondo l'analisi e I titoli dell'Huffington Post, Renzi no ha diritto di esprimere la propria opinione sulla direzione che debba tenere il proprio partito di appartenenza. Diritto riconosciuto e amplificato invece per le correnti minoritarie e in opposizione, per esempio quella di Emiliano.
Ovviamente, le mie opinioni, se io avessi un profilo più alto, invece di contribuire ad un dibattito pubblico, verrebbero immediatamente condannate e delegittimare quale attacco alla libertà di informazione in nome del Renzismo.
Italia. 2018.
http://www.huffingtonpost.it/2018/03/12/renzi-ce-si-fa-intervistare-dal-corsera-scrive-una-enews-e-brucia-la-direzione-dem-da-oggi-guerra-nel-partito_a_23383257/?ncid=fcbklnkithpmg00000001

Ieri sera ho mangiato male…




Forse avrò mangiato pesante, oppure mi sono addormentato con la televisione accesa sul telegiornale, ma ho fatto uno strano sogno.

Mi sono ritrovato a guardare un comizio di Di Maio, ma non uno di quelli surreali dove si fa fatica e seguire il filo del discorso, normalmente fatto di slogan a ripetizione, a volte in contraddizione l’uno con l’atro, senza soluzioni di continuità che permettano di riflettere, anche per un solo momento, sulle parole pronunciate.

Invece no, si trattava di un Di Maio diverso, serio e compito. Aveva in mano una serie di fogli e alle proprie spalle si intravedeva la copertina di un PowerPoint con scritto Proposta per l’Italia 2018-2020. Incuriosito, ho deciso di prestare attenzione.

La prima cosa di cui ho sentito parlare è stata una proposta per le Presidenze e Vicepresidenze di Camera, Senato e Commissioni – eccole lì, a chiare lettere nero su bianco sulla prima pagina del PowerPoint – ci sono nomi o spazi vuoti riconducibili a tutti i partiti in Parlamento, grandi e piccoli. Sembra che l’intenzione sia un po’ guidare, un po’ lasciar liberi tutte le altre forze politiche nella scelta di vertici condivisibili, senza esulare né dalle proprie prerogative, né dall’autonomia delle altre forze in campo. Non un mercato delle vacche, ma bensì un progetto ben articolato per coinvolgere il Parlamento davanti agli occhi di tutti.

Spiega Di Maio, nello stupore e nel silenzio generale, il Movimento 5 Stelle ha indicato una serie di nomi che fanno riferimento alle nostre ed altre forze politiche, o siano appartenenti a queste forze, perché’ crediamo che siano individui preparati e portatori otre che di competenze, anche di indipendenza di giudizio, e con cui vorremmo lavorare insieme all’interno di un Parlamento funzionale, preparato e collaborativo. Molte posizioni sono state lasciate vuote di proposito per permettere ai vari partiti di esprimere altri candidati in libertà – se vogliono esprimere i De Luca o i Borghezio o i Razzi, sarà una loro prerogativa, e ne risponderanno prima o poi, agli elettori.

A questo punto il pubblico si anima e si vede traspirare una certa eccitazione, è senza dubbio una proposta nuova che spiazzerà le altre forze politiche, ma allo stesso tempo un segnale forte, che segna un cambio di passo dei 5 Stelle, e li vede in prima linea con uno spirito propositivo e costruttivo.

Di Maio si guarda intorno e capisce che per la prima volta ha guadagnato l’attenzione di tutti sui contenuti invece che dietro agli slogan e frasi ad effetto.

Il prossimo passo e la successiva scheda riguarda la riforma costituzionale e relativa proposta di legge elettorale da considerare uno sforzo collegiale che permetta, se necessario, di tornare alle urne dopo aver riformato il sistema in una direzione che consenta, nelle intenzioni una maggior governabilità, ma senza calpestare il principio fondamentale di rappresentatività garantito dalla stessa Costituzione. Siamo tutt’orecchie.

La riforma a pochi punti ma molto chiari:
-        si abolisce il Senato e se ne assorbono le funzioni in un Parlamento leggermente diverso

-        Il numero dei parlamentari viene ridotto a circa 450

-        Il Parlamento viene eletto con una componente proporzionale ed una maggioritaria, con quella maggioritaria che ne rappresenti circa 1/3

-        La componente proporzionale è composta di grandi circoscrizioni, con una suddivisione che comprende parte dei grandi centri urbani con parte delle zone più sparsamente abitate, per evitare una contrapposizione marcata tra Città e campagna

-        La componente maggioritaria viene eletta con un sistema puramente maggioritario o con ballottaggio tra i due candidati che arrivino prima nella circoscrizione

-        Le circoscrizioni maggioritarie sono a livello pressoché’ provinciale (le vecchie province sono abolite),

-        Viene istituito un consiglio regionale consultivo, con funzioni limitate e non esecutive, su una serie di materie di competenza o elevato interesse regionale, quali sanità, lavoro, trasporti. Quest’organo comprende 60 membri eletti con sistema proporzionale

Forse si può raggiungere il consenso del Paese, e di conseguenza dei partiti, su una riforma come questa, che va sicuramente nella giusta direzione, senza prevaricazioni, e con evidenti risparmi sul costo della politica e semplificazione delle procedure. Una riforma condivisa avrebbe l’effetto di minimizzare le contrapposizioni di una campagna elettorale prolungata, permettendo di lavorare su problemi urgenti senza troppe distrazioni.

A questo punto, dice Di Maio, per evitare di ritornare ad un’altra campagna elettorale dopo un Referendum, il Movimento 5 Stelle propone un governo di coalizione della durata di due anni, in cui portare avanti alcune priorità del Movimento per offrire soluzioni ad alcuni dei problemi più urgenti. Siccome non è possibile formare un governo a tre su visioni assai contrastanti, propongono due programmi diversi, uno rivolto al CSX e uno leggermente differente al CDX, basato su aree di convergenza generale. Prendendo atto dell’impossibilità di risolvere in tempi brevi tutte le priorità e mettere in essere il proprio programma nella sua interezza.

L’obiettivo è di mettere in chiaro da subito le aree di possibile collaborazione, ed aprire un dibattito con entrambe le coalizioni, sedendosi al tavolo in maniera trasparente, e determinare con chi sia possibile formare una coalizione limitata negli obiettivi e nel tempo, ritornando ad elezioni con risultati sufficienti per permettere all’elettorato di dare un giudizio di merito sulle forze di governo e di opposizione.

La prima proposta è rivolta al CSX, e comprende temi cari e di convergenza ad entrambe le formazioni:

-        Innanzitutto, misure di sostegno al lavoro

-        Miglioramento ed estensione del reddito di inclusione

-        Stabilizzazione del sistema bancario

-        Diritti civili e delle minoranze

La seconda proposta, rivolta a CDX include:

-        Misure di supporto alla piccola e media impresa

-        Immigrazione

-        Parità di Bilancio e limite del 3%

-        Riforma di codice e processo penale

A questo punto, dice Di Maio, i cittadini sanno esattamente cosa chiede il Movimento 5 Stelle alle coalizioni in cambio del loro voto, e quale impegno sia richiesto all’eventuale partner.
Il comizio si chiude mentre si apre un acceso dibattito nel Paese, tra forze politiche, sindacati, giornalisti, cittadini. Chissà come andrà a finire.


Poi mi sono svegliato, ho preso due Alka Seltzer, e ho cominciato a leggere le solite notizie sui politici che si tirano gli stracci fra loro, dentro e fuori dai partiti.

Oggi solo riso in bianco.

10.3.18

Osservazioni sul Reddito di Cittadinanza


Perché sono contrario al Reddito di Cittadinanza come espansione dell'assistenzialismo

Ritengo, e non da oggi, che le proposte del M5S sul reddito di cittadinanza vadano in direzione opposta a quella di cui l'Italia e i giovani abbiano bisogno oggi e nel prossimo futuro. Voglio condividere l'esperienza personale in una società fortemente imperniata sullo Stato Sociale, come era il Regno Unito del Welfare State negli Anni '80.

Voglio invece a che si avvii un profondo dibattito su come prepararci alla società post-fordista e post-industriale che, dominata da Robotica, Intelligenza Artificiale, e Automazione Generalizzata, caratterizzerà' la Trasformazione Digitale. Questa sarà una società che vedrà una trasformazione del concetto di lavoro profondo quanto e più di quello che si è verificato durante la rivoluzione Industriale. Ma è una discussione su cui mi soffermerò alla prossima occasione.

Negli anni passati nel Regno Unito, e poi in un osservatorio privilegiato come l'Irlanda, ho avuto modo di fare esperienza diretta e indiretta, ma assai ravvicinata, del sistema assistenziale, e dei suoi effetti negativi, nel corso prolungato del tempo, su quella società. Avendo vissuto questo sistema dal suo interno, ed avendone abusato in prima persona, ho maturato un forte convincimento nelle mie tesi.

Nel Regno Unito, a partire dal periodo immediatamente post-Vittoriano, ha dominato una visione dello stato fortemente e sempre più coinvolto nel supporto dei cittadini attraverso misure quali il Sistema sanitario nazionale gratuito, Sussidio di disoccupazione, Sussidi alla famiglia, Sussidi abitativi ed edilizia popolare, che hanno raggiunto il proprio apice negli anni 80.
Negli Anni 80, il sussidio di disoccupazione era circa il 25% dello stipendio medio di circa 120 Sterline\settimana, i sussidi alla famiglia potevano raggiungere il 40% del salario medio, i sussidi abitativi dal 20% del salario medio alla totale gratuità di alloggi popolari.

La mia parte della storia ovvero come ho sfruttato il sistema.
Arrivai a Londra nei primi mesi del 1985 per un soggiorno di studio e lavoro. Il mio primo stipendio era di 52 sterline\settimana, il primo affitto circa 45 sterline a settimana - questo era ovviamente un incentivo a condividere l'abitazione. Comunque, come cittadino UE, avevo tutti i diritti dei cittadini britannici, da subito, inclusi i benefici. Per uno studente affamato e italiano, ci volle poco ad inserirsi nel sistema ed ottenere in poche settimane un sussidio di circa il 20% dell'affitto, ammontare modesto, ma importante in quelle condizioni. Quasi subito, avendo scoperto che come occupante con un singolo reddito avrei percepito il 35% dell'affitto, si provvide immediatamente ad aggiornare i dati con l'ufficio della sicurezza sociale. Di lì a poco mi fu offerta l’opportunità di affittare una casa popolare a circa 40 sterline\settimana, un appartamento di 2 stanze, bagno, cucina, e soggiorno su due piani, un lusso e un'occasione da non lasciarsi scappare. Il "padrone di casa" era un ragazzo di circa 20 anni, senza neanche una licenza media, disoccupato, con due figli e attesa di terzo, moglie disoccupata, genitori di entrambi disoccupati. Questo ragazzo aveva appena ricevuto l'appartamento popolare a titolo gratuito, avanzando rapidamente in graduatoria attraverso la presenza dei figli e del ceto disagiato. Aveva immediatamente deciso che fosse più conveniente affittarsi l'appartamento a nero e continuare a vivere nello scantinato dei genitori. Ovviamente anche percependo reddito (di cittadinanza) per sé, moglie, figli e l'affitto della casa popolare, si arrangiava facendo vari lavori a nero, facchino, carpentiere, e quello che capitava. Il risultato era che all'epoca, lui a la sua famiglia vivevano con quasi 200 sterline settimana, quattro volte il mio stipendio, che veniva speso in buona parte in birra, droghe leggere e pesanti, e tute da ginnastica – senza considerazione moralistiche, questi erano gli hobby più diffusi in quella comunità. Una delle noie, era che si dovesse presentare all'ufficio di collocamento almeno una volta a settimana e sostenere un colloquio sulle opportunità di lavoro disponibili. La maggior parte dei lavori disponibili erano lavori non qualificati, con stipendi tra 45 e 70 sterline a settimana - ovviamente lui si impegnava al massimo per evitare di essere preso in considerazione.  La maggior parte dei suoi amici viveva in condizioni molto simili, gruppi e gruppi di ragazzi che vivevano vite, chi più chi meno, sempre sul filo dell’illegalità e nessun desiderio di uscire dal sistema dell’assistenza sociale.
Questa situazione era ancora lo stesso brodo di coltura della generazione punk del "no future", degli hooligans negli stadi, concentrato nelle periferie delle grandi città, nei centri industriali in disfacimento, negli angoli poveri del paese.
Il mio soggiorno in quell'area non durò molto, e mi trasferii assai presto in una zona più qualificata contestualmente al miglioramento della lingua e delle condizioni di lavoro. Nel tempo ho continuato ad osservare l’evoluzione di questo mondo da vicino e meno vicino.

Questa storia offre molti spunti di riflessione su tematiche ancora molto attuali.
Una delle conseguenze di questo stato di cose è stato il diffondersi di una cultura tribale di sfruttamento e ottimizzazione delle risorse offerte dallo stato sociale, e conseguentemente la crescita di generazioni perse, ai margini della società, che non hanno mai avuto gli strumenti e gli incentivi per liberarsi dalla dipendenza dai sussidi. Quasi tutti hanno visto film ambientati in questo mondo, da quelli di Ken Loach a Trainspotting.

Un altro effetto deleterio su questa parte della società è stato l'incentivo a creare nuclei familiari instabili, basati quasi esclusivamente su relazioni di comodo allo scopo di estrarre benefici maggiori. Questo ha portato al tasso più alto d’Europa di gravidanze adolescenziali, l'atomizzazione delle famiglie, il perpetuarsi di questo stato di cose, con generazioni su generazioni cresciuti in questo ambito.

Insieme agli effetti sulla famiglia, questo sistema ha favorito la descolarizzazione di generazioni di giovani, per cui è più facile trascurare o ignorare completamente l'educazione scolastica, prevedendo già di lasciare la scuola ed entrare tra le fila dei disoccupati al compimento dei 15-16 anni. Un problema talmente acuto da portare, in risposta, ad un sistema scolastico militarizzato, dove le assenze vengono assimilate a reati contro il patrimonio, con coercizione alla presenza scolastica e pene severe per i genitori degli studenti assenteisti. Mentre i tassi di presenza si mantengono relativamente nella norma di altre economie occidentali, le medie delle votazioni sono a livelli più bassi.

L'impatto sul mondo del lavoro era ovviamente altrettanto pronunciato, non solo incentivando la disoccupazione cronica, ma anche un'economia basata sul lavoro a nero per intere fette di popolazione, specializzate non tanto nell'arte di arrangiarsi, quanto nel mantenimento di uno status quo. Un'economia che sfugga a qualsiasi forma di controllo, non solo da parte delle autorità fiscali, ma anche di qualsiasi normativa di protezione dei lavoratori, o di qualità, o di compensazione.

Questo tipo di economia ovviamente deprime i salari per effetto della negoziazione asimmetrica, proprio in quelle aree che più di altre avrebbero bisogno di lavoro stabile e retribuito adeguatamente, anche per compensare ad infrastrutture carenti. La depressione dei salari ovviamente non incentiva l'occupazione, che risulta meno conveniente o interessante del percepimento di indennità, per intere comunità disaffezionate e disinteressate all'inserimento in una società più ampia e competitiva.

Con la depressione dei salari e il rifiuto di lavori meno qualificati, si crea un’opportunità di competizione da parte di una forza lavoratrice di immigrati disponibili a riempire quei ruoli lasciati liberi dalle popolazioni indigene. Con l'immigrazione si crea la percezione dell'invasione, dell'accerchiamento, del furto del lavoro e delle risorse, la diffidenza, il razzismo di ritorno, con le tensioni che ne derivano.

L'impatto della circolazione monetaria aggiuntiva dovuta all'incremento dei benefici porta sì ad un aumento di ricchezza, non generalizzato, ma concentrato nei ceti più produttivi, fornitori di beni e di servizi, che prosperano sull'aumento di consumi e consumatori. Il problema che si fa più pronunciato di giorno in giorno è che, a differenza del welfare di 20, 30 o 40 anni fa, l'automazione e digitalizzazione attenuano significativamente l'impatto sull'occupazione, e l'effetto volano tipico delle teorie keynesiane si riduce ad un minimo. Lo stesso motivo per cui la cosiddetta 'trickle-down policy' produce progressivamente minor effetto sulla società, contribuendo alla concentrazione di ricchezza nelle mani di una percentuale sempre minore di individui, che non hanno bisogno di occupare forza lavoro per raccogliere frutti di investimenti in attività finanziarie, o di tecnologia, o immobiliari, etc.

La rivoluzione Thatcheriana dei tardi anni 80, ha minimamente ridotto la ghettizzazione attraverso politiche di eliminazione della rete di protezione offerta dallo Stato sociale, ma in assenza di effettive politiche del lavoro, di investimenti nella crescita dell'occupazione, ha portato ad un aumento dei tassi di povertà, andando a colpire proprio quei settori più deboli ed esposti. La crescita dei medi Anni 80 e del periodo Blairiano, hanno mitigato gli effetti negativi sulla società, ma la crisi degli anni 2000 e le politiche di austerità dei governi conservatori che si sono succeduti negli ultimi anni, hanno portato ad un'impennata della povertà, della disoccupazione, e dell'incidenza di sindromi neurologiche. Quest'ultimo aspetto, ancora poco studiato e analizzato, si prospetta come una delle conseguenze più intrattabili e potenzialmente distruttive sul lungo periodo. In pratica si osservano sintomi simili a quelli dovuti alla Sindrome da Stress Post Traumatico a livello endemico, si parla di un'incidenza dal 10% and 25%, e per la natura recente del fenomeno, è difficile prevedere quali effetti permanenti questo potrà produrre nella società.

Sicuramente è necessario trovare soluzioni e dare risposte alle istanze che provengono dal Meridione non solo d’Italia, ma anche dal Meridione delle grandi città o delle regioni più ricche. L’alienazione di intere regioni deve essere affrontata e bisogna offrire un piano di rinascita e di crescita insieme al resto del Paese.

La proposta di una facile soluzione del problema strutturale dell'occupazione nel Mezzogiorno, così come offerta dal Movimento 5 Stelle di un reddito di cittadinanza indifferenziato, rischia di produrre danni ancora più drammatici. In una vasta area d'Italia dove abbiamo già una radicata cultura centenaria di assistenzialismo, accompagnato da un'incidenza sopra la media di illegalità diffusa, di malaffare, corruzione, bassa scolarità, limitato senso civico, incrementare la dipendenza dai sussidi, anche alla luce degli effetti dell'esperienza britannica, non sembrano la ricetta ideale.

I sistemi di compensazioni e gli incentivi devono essere disegnati per cercare di ottenere i comportamenti desiderabili, a livello individuale e sociale. In un mondo dove il lavoro viene automatizzato a livelli senza precedenti, dove i compiti diventano sempre più concettuali, mi sembra essenziale concentrarsi su come favorire la scolarizzazione, formazione e riqualificazione su attività e ruoli che abbiano mercato, che preparino ad un inserimento più rapido e stabile nel mondo del lavoro, che aiutino a creare distretti produttivi che attraggano capitali ed investimenti, che favoriscano il miglioramento e mantenimento di infrastrutture moderne.

L'Italia ha bisogno di educarsi e prendere coscienza che investire sui minatori del Sulcis o sull'Ilva o sull'Embraco sono scelte dissennate che assorbono risorse preziose, che perpetuano la credenza popolare nei miracoli degli interventi statali, nel fatto che si possano salvare lavori e industrie obsolete.

Per tutti questi motivi, la proposta di allargare la rete di protezione sociale nella direzione proposta dal Movimento 5 Stelle non è solo la soluzione sbagliata, ma è una frode nei confronti del paese e dei giovani, prolungando l'agonia di una società e una cultura che devono necessariamente cambiare per affrontare la scommessa del futuro.

Nel prossimo articolo, affronterò il problema della prossima Rivoluzione Industriale, la Rivoluzione Digitale 2030