16.3.18

La fine del '68


il 16 marzo 1978 rappresenta la fine del '68, e non come viene spesso raccontato "la fine dell'innocenza", l'innocenza era finita il 12 dicembre del 1969.

Il 16 marzo 1978 rappresenta la fine di quel periodo in cui la rivolta giovanile e la resistenza operaia alla fine del boom economico, credevano di poter superare la reazione anche violenta del "potere", e la contrazione economica, attraverso un innalzamento del "livello di scontro" che potesse portare ad un sistema socialista occidentale, in una visione confusa di ciò che questo rappresentasse in realtà (ergo e continue divisioni e gruppuscoli). Questo movimentismo era nutrito da un rifiuto delle logiche dei blocchi, si ispirava al socialismo dal volto umano (o tale all’apparenza) degli strappi di Ungheria e Cecoslovacchia, come di Cuba.

Durante quei dieci anni la reazione "del potere" alle istanze giovanili e operaie furono scomposte, disorganizzate, a volte illegali, spesso guidate da incapacità e inadeguatezza, piuttosto cha da un disegno globale.

Proprio quella reazione scomposta, dove le prove di forza del potere erano in realtà prove di debolezza, permise la crescita quella sinistra, insofferente ad un sistema che li emarginava e ad un'opposizione troppo ingessata e inquadrata nelle logiche della guerra fredda per rappresentarne effettivamente le istanze. Il PCI, nonostante la radicata presenza nel paese, dalla campagna, alla fabbrica, all’università, si era di fatto imborghesito e, socialdemocraticamente rappresentava interessi costituiti.

Il '68 e l'Autunno Caldo, furono momenti veramente di rottura con le logiche dominanti, e i cui successi conquistarono buona fetta dell'opinione pubblica e diedero spinta propulsiva al movimentismo di sinistra.

Di conseguenza, il movimentismo prese sempre più forza e si spinse sempre più avanti nelle proprie rivendicazioni e, nella risposta debole delle istituzioni, si illuse della assoluta necessità storica ed inevitabilità delle proprie battaglie e dell’evoluzione estremistica della propria base ideologica.

La forza di quel movimentismo consisteva nell’essere riuscito a lungo ad allineare l’élite intellettuale, borghese e le fasce meno privilegiate di operai meno qualificati e infine il proletariato urbano dei non-garantiti, che si manifesta nel ‘77.

Le frange che propugnavano la lotta armata partivano dalle istanze di difesa da quella che era vista come repressione armata e di resistenza a quel movimentismo studentesco ed operaio. Per lungo tempo quelle frange avevano una visione distorta e romantica dei movimenti armati sudamericani come della Resistenza, ed erano ricambiati dal movimento che li vedeva sognatori e intransigenti, ma sicuramente come parte di sé stesso.

In questo brodo di para-terrorismo e illegalità sempre più diffusa, era inevitabile che si sviluppasse e crescessero le frange armate, così come era inevitabile che ci fosse una grossa area di contiguità in cui pescare e che le supportasse. Era facile migrare da una gradazione di rosso all’altra, così come diventava ugualmente facile tra una sfumatura di nero all’altra. Nel movimento e nell’area di contiguità non ci si vedeva combattenti armati, fino a quando il passaggio alla clandestinità, vera o di fatto non si fosse compiuta con l’adesione formale ad un’organizzazione.

Gli scontri di piazza, molto spesso ispirati più dai Ragazzi della via Paal che non dai Tupamaros, era inevitabile che si intensificassero, dai sampietrini si passava a caschi e mazze, di lì alle bottiglie molotov, e infine alle pistole.

L’impunità favorisce la presunzione e la sfacciataggine, e questo è quello che accadde. Senza dietrologie e senza disegni.

Ma il 16 marzo 1978 rappresenta sia l’apoteosi, il momento più alto delle Brigate Rosse che la fine di tutto questo movimentismo. Gli autonomi distruggono gli indiani metropolitani, e con essi la creatività, la positività, l’ottimismo, la speranza del Movimento e cominciano i secoli bui dell’oscurantismo medievale dei terroristi, che si manifesterà definitivamente con gli omicidi di Guido rossa e Roberto Peci.

Nel momento in cui le Brigate Rosse hanno successo nell’operazione più ardimentosa, complessa, e dimostrativa della propria capacità organizzativa, comincia il momento del declino del proprio potere mediatico e intellettuale. Le Brigate Rosse erano impreparate a gestire politicamente quel rapimento, così come lo stato era impreparato a reagire.

Aveva ragione Piperno a sottolineare con ammirazione “la geometrica potenza”, la ricerca del linguaggio sottolineava anche l’inconsistenza della propria politica, che rappresentava il fatto che le BR si ponessero come interlocutore alla pari dello Stato, e nell’impunità dei 55 giorni addirittura Stato nello Stato, ma proprio per questo segnano la fine della rivolta permanente. La lotta armata e la rivolta perdono la valenza di rivendicazione e diventano una vera guerra, ma una guerra che il movimentismo non è disponibile a combattere, e tra i distinguo e il rigetto, si crea la cesura con il brodo insurrezionale, il riflusso e la perdita di identità della Sinistra cosiddetta extraparlamentare.

Ma quello su cui la stampa e gli intellettuali preferiscono glissare per evitare crepe nel proprio pontificare, è anche la profonda umanità di questi automi incorruttibili del terrorismo. Umanità che si dimostra nella maldestria e relativa caterva di errori commettono per faciloneria e supponenza, prima, durante e dopo il rapimento. Si perdono armi e documenti, gambizzano o uccidono le persone sbagliate, non sanno rapinare le banche, si fanno fregare da chi gli dovrebbe riciclare denaro o vendere le armi, si fanno beccare con i pantaloni abbassati con le fidanzate. Mara Cagol voleva liberare il marito prima ancora che il capo delle Brigate Rosse, e finisce ammazzata per la propria goffaggine e un proiettile sparato male.

Il ’68 è morto quel giorno, il movimentismo verrà annientato con il 7Aprile, che rappresenta una risposta simbolica dello Stato che contribuisce a radicalizzare la divisione tra legalità e illegalità. Di lì a poco, la marcia dei 40000 riporterà definitivamente alla normalità la stagione delle rivendicazioni operaie.


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