23.3.18

Serra, Facebook, e il plus valore


Serra, mi piacerebbe poterlo dire con parole sue che esprimano il mio pensiero (come spesso fa), sull'Amaca di oggi piscia controvento, come avrebbe scritto Adam Smith.

Mettiamo da parte il fatto che prendersela con Facebook è come prendersela con una banca dopo che l'abbiano
 rapinata, perché merita un discorso a parte.

Comunque Serra fa un bel minestrone tra quotazioni di borsa, lavoratori, ricchezza personale, e dice un sacco di boiate nonostante avesse avuto l'intenzione di porre domande più alte.

Serra vuol cercare di porre l'attenzione sulla rivoluzione industriale digitale, che ormai sta per dirompere in tutti gli ambiti, ma si attorciglia su una posizione luddista.

Il motore (che sia a vapore, a combustione o elettrico) ha avuto un effetto dirompente sulla società, ed è la rivoluzione industriale che ha plasmato il pensiero di Marx.

Il plus valore è un concetto che prese piede proprio per la disparità che veniva percepita (da un borghese come Marx) tra il profitto su scala mercantile, artigianale e latifondista, e il profitto su scala industriale.

In precedenza, al centro del dibattito c'era stata la remunerazione del capitale, la terribile usura che generava rendite spropositate rispetto all'affitto o al commercio - legittima ratio da parte di chi i soldi li chiedeva in prestito (un po' meno da parte di rischiava i propri dandoli in prestito).

Serra toppa in maniera clamorosa quando fa l'esempio di Amazon e del negozio tradizionale. E di proposito non ci dice cosa sia tradizionale e, sottintende giusto, o almeno economicamente e socialmente più accettabile. Quanti lavoratori ci vogliono a generare 1 dollaro di valutazione di mercato di Amazon, è di proposito una domanda retorica e sbagliata.

Infatti Amazon, impiega 400,000 persone direttamente e fa $130Bn di fatturato - se consideriamo WalMart un'azienda tradizionale, fa $500Bn di fatturato con circa 1.5 milioni di impiegati - quindi come numeri siamo lì.

Però sicuramente il caro Michele (non Michele Apicella) non crede che Walmart sia tradizionale abbastanza, forse nemmeno la Esselunga, probabilmente il banco ortofrutticolo del mercato è un esempio che troverebbe più calzante.

In più Michele omette il fatto che proprio la crescita smisurata della grande distribuzione permetta di ridurre attrito e ridurre prezzi al consumo, aumentando di fatto il potere d'acquisto di Cipputi.

Ma tornando a Facebook, Google, e co. si parla sempre e solo della capitalizzazione di queste e della forbice sociale, ma si evita bene di parlare della filiera digitale, della filiera della distribuzione, e della ricaduta che la nuova economia genera al contempo.

L'economia si evolve e con essa il mercato del lavoro. Nel 400 solo i sovrani avevano chi gli portasse a spasso il cane, nel 1900 si sarebbero messi a ridere tutti, poveri e ricchi, se qualcuno avesse detto che il porta-a-spasso-il-cane oggi sarebbe stato uno dei lavori in più forte crescita su entrambe le coste degli stati uniti.

Rockefeller o Carnegie avevano un peso assai maggiore sull'economia e in termini di fortuna personale di un Bezos o Zuck, e le loro aziende erano monopoli che gestivano di fatto l'economia mondiale - più facile quando controlli tutto il petrolio o tutto l'acciaio.
Ma il break up della standard Oil non significò fermare l'avanzata dell'automazione del lavoro nelle campagne.

Non sono necessarie rivoluzioni per avere effetti dirompenti - magari il Dodo la pensa diversamente - ma anche la semplice evoluzione significa che alcune linee crescono rigogliosamente oggi, solo per essere soppiantate domani. Ma allo stesso tempo, nessuno vuole comprare il biglietto per assistere alla propria estinzione.

Comunque vada, il caro Serra quest'oggi ha fatto un po' il capopopolo, a metà tra Masaniello e Jeremy Rifkin, e perso un'occasione buona per dire cose un po' più basse ma probabilmente più intelligenti.

16.3.18

La fine del '68


il 16 marzo 1978 rappresenta la fine del '68, e non come viene spesso raccontato "la fine dell'innocenza", l'innocenza era finita il 12 dicembre del 1969.

Il 16 marzo 1978 rappresenta la fine di quel periodo in cui la rivolta giovanile e la resistenza operaia alla fine del boom economico, credevano di poter superare la reazione anche violenta del "potere", e la contrazione economica, attraverso un innalzamento del "livello di scontro" che potesse portare ad un sistema socialista occidentale, in una visione confusa di ciò che questo rappresentasse in realtà (ergo e continue divisioni e gruppuscoli). Questo movimentismo era nutrito da un rifiuto delle logiche dei blocchi, si ispirava al socialismo dal volto umano (o tale all’apparenza) degli strappi di Ungheria e Cecoslovacchia, come di Cuba.

Durante quei dieci anni la reazione "del potere" alle istanze giovanili e operaie furono scomposte, disorganizzate, a volte illegali, spesso guidate da incapacità e inadeguatezza, piuttosto cha da un disegno globale.

Proprio quella reazione scomposta, dove le prove di forza del potere erano in realtà prove di debolezza, permise la crescita quella sinistra, insofferente ad un sistema che li emarginava e ad un'opposizione troppo ingessata e inquadrata nelle logiche della guerra fredda per rappresentarne effettivamente le istanze. Il PCI, nonostante la radicata presenza nel paese, dalla campagna, alla fabbrica, all’università, si era di fatto imborghesito e, socialdemocraticamente rappresentava interessi costituiti.

Il '68 e l'Autunno Caldo, furono momenti veramente di rottura con le logiche dominanti, e i cui successi conquistarono buona fetta dell'opinione pubblica e diedero spinta propulsiva al movimentismo di sinistra.

Di conseguenza, il movimentismo prese sempre più forza e si spinse sempre più avanti nelle proprie rivendicazioni e, nella risposta debole delle istituzioni, si illuse della assoluta necessità storica ed inevitabilità delle proprie battaglie e dell’evoluzione estremistica della propria base ideologica.

La forza di quel movimentismo consisteva nell’essere riuscito a lungo ad allineare l’élite intellettuale, borghese e le fasce meno privilegiate di operai meno qualificati e infine il proletariato urbano dei non-garantiti, che si manifesta nel ‘77.

Le frange che propugnavano la lotta armata partivano dalle istanze di difesa da quella che era vista come repressione armata e di resistenza a quel movimentismo studentesco ed operaio. Per lungo tempo quelle frange avevano una visione distorta e romantica dei movimenti armati sudamericani come della Resistenza, ed erano ricambiati dal movimento che li vedeva sognatori e intransigenti, ma sicuramente come parte di sé stesso.

In questo brodo di para-terrorismo e illegalità sempre più diffusa, era inevitabile che si sviluppasse e crescessero le frange armate, così come era inevitabile che ci fosse una grossa area di contiguità in cui pescare e che le supportasse. Era facile migrare da una gradazione di rosso all’altra, così come diventava ugualmente facile tra una sfumatura di nero all’altra. Nel movimento e nell’area di contiguità non ci si vedeva combattenti armati, fino a quando il passaggio alla clandestinità, vera o di fatto non si fosse compiuta con l’adesione formale ad un’organizzazione.

Gli scontri di piazza, molto spesso ispirati più dai Ragazzi della via Paal che non dai Tupamaros, era inevitabile che si intensificassero, dai sampietrini si passava a caschi e mazze, di lì alle bottiglie molotov, e infine alle pistole.

L’impunità favorisce la presunzione e la sfacciataggine, e questo è quello che accadde. Senza dietrologie e senza disegni.

Ma il 16 marzo 1978 rappresenta sia l’apoteosi, il momento più alto delle Brigate Rosse che la fine di tutto questo movimentismo. Gli autonomi distruggono gli indiani metropolitani, e con essi la creatività, la positività, l’ottimismo, la speranza del Movimento e cominciano i secoli bui dell’oscurantismo medievale dei terroristi, che si manifesterà definitivamente con gli omicidi di Guido rossa e Roberto Peci.

Nel momento in cui le Brigate Rosse hanno successo nell’operazione più ardimentosa, complessa, e dimostrativa della propria capacità organizzativa, comincia il momento del declino del proprio potere mediatico e intellettuale. Le Brigate Rosse erano impreparate a gestire politicamente quel rapimento, così come lo stato era impreparato a reagire.

Aveva ragione Piperno a sottolineare con ammirazione “la geometrica potenza”, la ricerca del linguaggio sottolineava anche l’inconsistenza della propria politica, che rappresentava il fatto che le BR si ponessero come interlocutore alla pari dello Stato, e nell’impunità dei 55 giorni addirittura Stato nello Stato, ma proprio per questo segnano la fine della rivolta permanente. La lotta armata e la rivolta perdono la valenza di rivendicazione e diventano una vera guerra, ma una guerra che il movimentismo non è disponibile a combattere, e tra i distinguo e il rigetto, si crea la cesura con il brodo insurrezionale, il riflusso e la perdita di identità della Sinistra cosiddetta extraparlamentare.

Ma quello su cui la stampa e gli intellettuali preferiscono glissare per evitare crepe nel proprio pontificare, è anche la profonda umanità di questi automi incorruttibili del terrorismo. Umanità che si dimostra nella maldestria e relativa caterva di errori commettono per faciloneria e supponenza, prima, durante e dopo il rapimento. Si perdono armi e documenti, gambizzano o uccidono le persone sbagliate, non sanno rapinare le banche, si fanno fregare da chi gli dovrebbe riciclare denaro o vendere le armi, si fanno beccare con i pantaloni abbassati con le fidanzate. Mara Cagol voleva liberare il marito prima ancora che il capo delle Brigate Rosse, e finisce ammazzata per la propria goffaggine e un proiettile sparato male.

Il ’68 è morto quel giorno, il movimentismo verrà annientato con il 7Aprile, che rappresenta una risposta simbolica dello Stato che contribuisce a radicalizzare la divisione tra legalità e illegalità. Di lì a poco, la marcia dei 40000 riporterà definitivamente alla normalità la stagione delle rivendicazioni operaie.


14.3.18

L'OPA sul PD


Premesso che per adesso non sono iscritto al Partito Democratico, magari questo cambierà in un  prossimo futuro, tantomeno mi ritengo sono un fine analista come, per esempio, Travaglio o l’Annunziata, ma vorrei sottolineare un aspetto inquietante della discussione post-elettorale che nessuno sembra ancora avere sottolineato.

Non si erano ancora chiuse le urne, quando tra le dimissioni di Renzi e l'immediata apertura di LeU al M5S per bocca di Fratoianni o Fassina (quello di Fassina chi?), è iniziato il gioco al massacro nei confronti del PD.
Superficialmente alimentata dall'avversione al Renzismo, l'operazione mi sembra assai più subdola. Cercando di approfittare del momento di crisi interna, di fatto LeU e M5S hanno avviato un’OPA ostile sul PD, da destra e da sinistra, con l'evidente obiettivo di spaccare ulteriormente il partito, o come minimo di annettersene qualche fetta.

Mossa comprensibilissima. LeU dopo il disastro elettorale si è liquefatta, basta vedere come Fratoianni e Fassina, nel silenzio dei Grasso, Boldrini, Bersani o D’Alema, hanno ricominciato immediatamente a giocare sotto la propria bandiera. I suoi leaderini dimezzati con più pelo sullo stomaco stanno cercando sia di egemonizzare il dibattito a sinistra, sia egemonizzare la guida di ciò che rimane di LeU, volendo portarsi in dote quella fetta del PD che vedono come simpatizzante del movimentismo. Invece di aprire una riflessione interna, e soprattutto di decidere collettivamente come procedere, magari avviando discussioni su una strategia comune al riguardo delle presidenze del Parlamento, si sono avventati sul PD, spingendo un’impossibile alleanza con il M5S solo per incrinarne l’unità, facendo il gioco di Emiliano contro l'asse Orlando\Renzi. E tanto peggio, tanto meglio

Il M5S non si è lasciato scappare l'occasione, e spalleggiato da buona parte della stampa, continua a mandare messaggi trasversali al PD e alla propria base, strategia sintetizzabile in un “venite con noi, ma mai al governo con noi”. Anche qui l'obiettivo sembra assai chiaro, spaccare il PD tra coloro che vorrebbero a tutti costi cavalcare la tigre della protesta o proporsi come responsabili, ed il resto. Ma da parte del M5S, abbiamo visto i comportamenti messi in atto nella scorsa legislatura, non mi riferisco alle sceneggiate, gli insulti e le aggressioni, mi riferisco a tutte le discussioni condotte per arrivare a proposte condivise, dove il M5S si è tirato poi indietro all'ultimo momento solo per spaccare l'asse PD\FI.
E' ovvio che con questa formazione non c’è speranza di trovare accordi, la loro strategia è chiara, logorare un potenziale partner accusandolo di sabotare l'azione di governo del M5S.

La cosa sconcertante è che queste operazioni avvengono ancor prima di avviare le discussioni sulle presidenze del Parlamento. Queste discussioni, per trasparenza e costituzionalità, si dovrebbero svolgere in proprio in Parlamento, ma da parte di LeU e M5S non c’è un interesse vero al dialogo, ma solo una tattica per sfiancare e sbriciolare il PD.

Ancora più sconcertante è il ruolo della stampa che continua a soffiare sul fuoco e spingere per questa diabolica alleanza, evitando accuratamente (a parte e nel proprio interesse, la stampa più berlusconiana) di puntare i riflettori sui punti comuni tra Lega e 5S. Alleanza che Berlusconi vede come fumo negli occhi, perché’ rischia di atomizzare Forza Italia in un coacervo razzista e oscurantista guidato da Salvini, che presti il fianco alle istanze populiste che vogliono lo smantellamento dell’impero berlusconiano – lo sbandierato conflitto d’interessi, che nell’accezione di Di Maio corrisponde alla nazionalizzazione di Mediaset.

Mi auguro che sia una strategia che fallisca, e spero di riuscire ad apportare un contributo interno o esterno affinché' fallisca il prima possibile.


13.3.18

Fassina chi?

Quando leggo dichiarazioni come quelle recenti di Stefano Fassina su cosa dovrebbe fare il PD, mi rendo conto che a volte i bravi del M5S abbiano ragione quando parlano di impresentabili.
Fassina, ancora non si è dato pace del fatto che Renzi gli abbia scalato il PD sotto il naso mentre lui si guardava allo specchio gingillandosi come la regina di Biancaneve. Dopo mesi passati a chiedere allo specchio chi fosse il potenziale segretario del PD più bello del reame, oltre al partito, gli avevano pure fregato la sedia da ministro.
Avendo minacciato per mesi le dimissioni dal partito senza che nessuno gli chiedesse di restare, ad un certo punto, alticcio dopo una serata passata all'osteria a bere per dimenticare con altri tre sfigati come lui, annunciò la 12.425ma formazione di gruppettari, chiamata con modestia Sinistra Italiana. Nome profetico, 3 briganti e 3 somari, quasi ad anticipare e simbolizzare il peso della Sinistra Italiana dopo le elezioni.
Disoccupato, senza molti amici, e insoddisfatto che il suo blog non lo leggessero neanche i parenti prossimi, si trovava alla disperata ricerca di un minimo di visibilità. Così, in un altro momento di euforia alcolica, decise di farsi eleggere al Comune di Roma con l'idea di fare opposizione al M5S, ma opposizione diversa e in opposizione al PD.
Passata la sbronza, non si è mai presentato in Comune, anche spaventato dal fatto che l'indennità del Comune fosse un terzo dello stipendio da Parlamentare.
A riprova della bontà e solidità del progetto federativo a lungo termine di LeU, si è presentato a fare le dichiarazioni post elettorali immediatamente con il proprio simbolo per sottolineare l'unità con il resto del Gruppo TNT.
Oggi, forse in una ricaduta nell'alcolismo, dichiara che è suo compito inseguire i propri elettori ovunque si siano dispersi. Non vi stupite se lo vedete spuntare al bar sotto casa o mentre vi trovate al bagno della stazione. Sta solo cercando di ritrovare le sua rilevanza.

Le vittime del Rosatellum

Vorrei anche io vedere una nuova legge elettorale fatta da Lega e M5S, le autodefinite vittime della presente legge.
Vorrei vedere una Lega e M5S proclamare durante e dopo le successive elezioni che le votazioni si svolgano secondo la miglior legge possibile.
Ma questo non succederà.
Mi aspetto che Lega e M5S riescano, forse, ad apportare minime modifiche condivise, per poi continuare a raccontare agli Italiani che non c'erano le condizioni per una legge giusta e che nessuno dei due possa vincere adeguatamente per la porcata di Renzi del 2017.
A pensare male si fa peccato, ma ogni tanto ci si indovina (cit. Andreotti)


Renzi e il voto del silenzio

L'Huffington Post di Lucia Annunziata vorrebbe vedere Renzi ritirarsi in un monastero facendo il voto del silenzio.
Apparentemente la dichiarazione di non candidarsi ad un ruolo dirigente nel suo partito di appartenenza non è sufficiente a placare le richieste di D'Alema e co di cui si fa portavoce e surrogato.
Secondo l'analisi e I titoli dell'Huffington Post, Renzi no ha diritto di esprimere la propria opinione sulla direzione che debba tenere il proprio partito di appartenenza. Diritto riconosciuto e amplificato invece per le correnti minoritarie e in opposizione, per esempio quella di Emiliano.
Ovviamente, le mie opinioni, se io avessi un profilo più alto, invece di contribuire ad un dibattito pubblico, verrebbero immediatamente condannate e delegittimare quale attacco alla libertà di informazione in nome del Renzismo.
Italia. 2018.
http://www.huffingtonpost.it/2018/03/12/renzi-ce-si-fa-intervistare-dal-corsera-scrive-una-enews-e-brucia-la-direzione-dem-da-oggi-guerra-nel-partito_a_23383257/?ncid=fcbklnkithpmg00000001

Ieri sera ho mangiato male…




Forse avrò mangiato pesante, oppure mi sono addormentato con la televisione accesa sul telegiornale, ma ho fatto uno strano sogno.

Mi sono ritrovato a guardare un comizio di Di Maio, ma non uno di quelli surreali dove si fa fatica e seguire il filo del discorso, normalmente fatto di slogan a ripetizione, a volte in contraddizione l’uno con l’atro, senza soluzioni di continuità che permettano di riflettere, anche per un solo momento, sulle parole pronunciate.

Invece no, si trattava di un Di Maio diverso, serio e compito. Aveva in mano una serie di fogli e alle proprie spalle si intravedeva la copertina di un PowerPoint con scritto Proposta per l’Italia 2018-2020. Incuriosito, ho deciso di prestare attenzione.

La prima cosa di cui ho sentito parlare è stata una proposta per le Presidenze e Vicepresidenze di Camera, Senato e Commissioni – eccole lì, a chiare lettere nero su bianco sulla prima pagina del PowerPoint – ci sono nomi o spazi vuoti riconducibili a tutti i partiti in Parlamento, grandi e piccoli. Sembra che l’intenzione sia un po’ guidare, un po’ lasciar liberi tutte le altre forze politiche nella scelta di vertici condivisibili, senza esulare né dalle proprie prerogative, né dall’autonomia delle altre forze in campo. Non un mercato delle vacche, ma bensì un progetto ben articolato per coinvolgere il Parlamento davanti agli occhi di tutti.

Spiega Di Maio, nello stupore e nel silenzio generale, il Movimento 5 Stelle ha indicato una serie di nomi che fanno riferimento alle nostre ed altre forze politiche, o siano appartenenti a queste forze, perché’ crediamo che siano individui preparati e portatori otre che di competenze, anche di indipendenza di giudizio, e con cui vorremmo lavorare insieme all’interno di un Parlamento funzionale, preparato e collaborativo. Molte posizioni sono state lasciate vuote di proposito per permettere ai vari partiti di esprimere altri candidati in libertà – se vogliono esprimere i De Luca o i Borghezio o i Razzi, sarà una loro prerogativa, e ne risponderanno prima o poi, agli elettori.

A questo punto il pubblico si anima e si vede traspirare una certa eccitazione, è senza dubbio una proposta nuova che spiazzerà le altre forze politiche, ma allo stesso tempo un segnale forte, che segna un cambio di passo dei 5 Stelle, e li vede in prima linea con uno spirito propositivo e costruttivo.

Di Maio si guarda intorno e capisce che per la prima volta ha guadagnato l’attenzione di tutti sui contenuti invece che dietro agli slogan e frasi ad effetto.

Il prossimo passo e la successiva scheda riguarda la riforma costituzionale e relativa proposta di legge elettorale da considerare uno sforzo collegiale che permetta, se necessario, di tornare alle urne dopo aver riformato il sistema in una direzione che consenta, nelle intenzioni una maggior governabilità, ma senza calpestare il principio fondamentale di rappresentatività garantito dalla stessa Costituzione. Siamo tutt’orecchie.

La riforma a pochi punti ma molto chiari:
-        si abolisce il Senato e se ne assorbono le funzioni in un Parlamento leggermente diverso

-        Il numero dei parlamentari viene ridotto a circa 450

-        Il Parlamento viene eletto con una componente proporzionale ed una maggioritaria, con quella maggioritaria che ne rappresenti circa 1/3

-        La componente proporzionale è composta di grandi circoscrizioni, con una suddivisione che comprende parte dei grandi centri urbani con parte delle zone più sparsamente abitate, per evitare una contrapposizione marcata tra Città e campagna

-        La componente maggioritaria viene eletta con un sistema puramente maggioritario o con ballottaggio tra i due candidati che arrivino prima nella circoscrizione

-        Le circoscrizioni maggioritarie sono a livello pressoché’ provinciale (le vecchie province sono abolite),

-        Viene istituito un consiglio regionale consultivo, con funzioni limitate e non esecutive, su una serie di materie di competenza o elevato interesse regionale, quali sanità, lavoro, trasporti. Quest’organo comprende 60 membri eletti con sistema proporzionale

Forse si può raggiungere il consenso del Paese, e di conseguenza dei partiti, su una riforma come questa, che va sicuramente nella giusta direzione, senza prevaricazioni, e con evidenti risparmi sul costo della politica e semplificazione delle procedure. Una riforma condivisa avrebbe l’effetto di minimizzare le contrapposizioni di una campagna elettorale prolungata, permettendo di lavorare su problemi urgenti senza troppe distrazioni.

A questo punto, dice Di Maio, per evitare di ritornare ad un’altra campagna elettorale dopo un Referendum, il Movimento 5 Stelle propone un governo di coalizione della durata di due anni, in cui portare avanti alcune priorità del Movimento per offrire soluzioni ad alcuni dei problemi più urgenti. Siccome non è possibile formare un governo a tre su visioni assai contrastanti, propongono due programmi diversi, uno rivolto al CSX e uno leggermente differente al CDX, basato su aree di convergenza generale. Prendendo atto dell’impossibilità di risolvere in tempi brevi tutte le priorità e mettere in essere il proprio programma nella sua interezza.

L’obiettivo è di mettere in chiaro da subito le aree di possibile collaborazione, ed aprire un dibattito con entrambe le coalizioni, sedendosi al tavolo in maniera trasparente, e determinare con chi sia possibile formare una coalizione limitata negli obiettivi e nel tempo, ritornando ad elezioni con risultati sufficienti per permettere all’elettorato di dare un giudizio di merito sulle forze di governo e di opposizione.

La prima proposta è rivolta al CSX, e comprende temi cari e di convergenza ad entrambe le formazioni:

-        Innanzitutto, misure di sostegno al lavoro

-        Miglioramento ed estensione del reddito di inclusione

-        Stabilizzazione del sistema bancario

-        Diritti civili e delle minoranze

La seconda proposta, rivolta a CDX include:

-        Misure di supporto alla piccola e media impresa

-        Immigrazione

-        Parità di Bilancio e limite del 3%

-        Riforma di codice e processo penale

A questo punto, dice Di Maio, i cittadini sanno esattamente cosa chiede il Movimento 5 Stelle alle coalizioni in cambio del loro voto, e quale impegno sia richiesto all’eventuale partner.
Il comizio si chiude mentre si apre un acceso dibattito nel Paese, tra forze politiche, sindacati, giornalisti, cittadini. Chissà come andrà a finire.


Poi mi sono svegliato, ho preso due Alka Seltzer, e ho cominciato a leggere le solite notizie sui politici che si tirano gli stracci fra loro, dentro e fuori dai partiti.

Oggi solo riso in bianco.